Arto Lindsay & Melvin Gibbs, che coppia a Torino
di Luca Testoni
Statunitense di nascita, brasiliano d’adozione, ma con un rapporto speciale, per non dire preferenziale, con il nostro Paese. Un rapporto, quello di Arto Lindsay con l’Italia, che si rinnoverà il 5 novembre con un concerto al Circolo degli Artisti a Torino, e che affonda le sue radici addirittura verso la fine degli anni Settanta. «Eravamo molto presi dall’Autonomia e dal Movimento del ’77, ci piaceva questo legame tra politica, teoria, creatività e vita di tutti i giorni. All’epoca, quando suonammo nel vostro Paese coi Lounge Lizards ì (il collettivo free-jazz di John Lurie), mi trattenni a Bologna per un po’ e produssi anche un disco di una formazione locale. Era divertente, ci esibivamo nelle situazioni più disparate: teatri d’opera, Feste dell’Unità, squat punk…», ha ricordato tempo fa il cantante, chitarrista e produttore cresciuto in Brasile al seguito dei genitori, missionari presbiteriani.
Lindsay, a Torino per presentare in anteprima il nuovo album di cui è imminente l’uscita, si esibirà in duo con il versatile bassista Melvin Gibbs, da decenni il suo più stretto collaboratore. I due si conoscono da più di quarant’anni. All’epoca, l’avanguardia musicale newyorkese li vedeva entrambi in prima linea. Gibbs suonava con l’antieroe della chitarra jazz Sonny Sharrock, mentre Lindsay era alla guida del trio DNA, tra i simboli del movimento “No Wave” celebrato da Brian Eno nella raccolta “No New York”. I biografi raccontano che Lindsay abitava assieme a Jim Jarmusch nel Lower East Side, quartiere quantomai degradato a quei tempi, era compagno di eccessi di gente come Jean-Michel Basquiat, e dalla sua chitarra elettrica tirava fuori un suono dissonante, col quale trovava ospitalità nei locali punk come nelle gallerie d’arte.
Col passare dei decenni, complice anche il suo trasferimento in pianta stabile a Rio de Janeiro, Lindsay, look eternamente stropicciato, chitarra tagliente e voce da tenore agile, è poi divenuto portavoce di un post-modernismo musicale che ha fuso il rumorismo degli esordi con le sonorità elettroniche e una rilettura decisamente personale della musica brasiliana. Le frequentazioni con Gibbs hanno poi fatto sì che nel suo avant-pop perennemente rivolto al futuro (ci fosse spazio anche per groove più contemporanei, a cominciare dall’hip-hop.
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