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Francesco Bianconi: non è più il tempo della retorica

21.05.2021, di Giacomo Luperini

Francesco Bianconi, raffinato cantautore, musicista e scrittore, oltre che noto front man dei Baustelle, racconta il suo lavoro in periodo pandemico e le sue aspettative per il futuro. 

È un momento particolarmente prolifico per l’artista, che in meno di un anno ha realizzato “Forever”, il suo primo album solista, ha messo in cantiere il format “storie inventate” su youtube ed è fresco dell’uscita, l’11 maggio, del suo terzo libro: “Atlante delle case maledette” (edito da Rizzoli Lizard). A coronare il lavoro di Forever, esce “Forever in Technicolor” (edito da BMG), un doppio vinile- disponibile anche su piattaforme digitali – contenente l’opera completa di Francesco Bianconi, oltre a numerosi brani inediti ricchi di collaborazioni internazionali.  Lo abbiamo intervistato per capire quali sono le motivazioni che lo hanno spinto verso questa intensa attività produttiva. 

Ciao Francesco, come te la stai passando? 

Sto bene, grazie al cielo. Ormai “come stai” ha smesso di essere un convenevole. Sono molto eccitato all’idea di tornare a suonare. Ci saranno limitazioni, certo, ma non vedo l’ora di essere vaccinato e di tornare a fare musica dal vivo.  

È un periodo prolifico per te: in meno di un anno hai pubblicato Forever, ora esci con Forever in technicolor, hai realizzato “storie inventate” e hai pubblicato “atlante delle case maledette”. Sembra un po’ contraddire la tua frase contenuta ne “il bene”, non è tempo di cantare e di alterare la realtà. 

Cominciamo dal dire che quella frase fu scritta molto prima che arrivasse la pandemia e con un significato completamente diverso. Tutto il disco era già chiuso a gennaio, ma il primo lockdown ci ha costretti a rimandare tutto. Avevo necessità di dire le cose con maggiore sincerità, senza svolazzi o manierismi. Non è più il tempo della retorica. Sono tempi duri e c’è bisogno di affrontarli. L’intero brano ha l’intento di contrapporsi al nichilismo e al cinismo imperante. È tempo di affrontare il mondo con sincerità, coraggio e fede. Anche se mi rendo conto che è una frase che calza veramente a pennello con il periodo pandemico. 

Nei tuoi ultimi lavori prevale la descrizione di un mondo in transizione. Un passaggio dalla distruzione alla rinascita. Cosa ti aspetti per il futuro? Qual è il “mondo nuovo” che auspichi? 

Siamo alla fine di un’epoca nella quale gli esseri umani hanno sfruttato le risorse del Pianeta Terra e adesso la natura ci sta presentando il conto. Improvvisamente si è cominciato sempre più a parlare di ecologia e di risorse in esaurimento. C’è una crescente sensibilizzazione su tematiche connesse alla salvaguardia del pianeta. È risorto il valore dell’umanità, che ci eravamo persi perché impegnati ad inseguire valori che alla fine non ci hanno lasciato niente. Abbiamo praticato prevalentemente discipline economiche, e l’economia è stata usata come chiave unica per il raggiungimento della felicità umana. È stato un grande errore. Ci siamo lasciati ubriacare da queste certezze, smettendo di produrre pensiero. È troppo tempo che l’occidente ha smesso di produrre pensiero. Io spero e credo in un mondo nuovo, un mondo dove l’occidente creerà una nuova forma di pensiero, anche e soprattutto volto alla salvaguardia del pianeta (a meno che non decidiamo come società di intraprendere un gigantesco harachiri). Anche in questo senso “non è tempo di cantare e di alterare la realtà”. 

Nel brano “l’abisso”, sembri preannunciare un cambiamento di prospettiva, un passaggio dalla parte di chi spiega a quella di chi ascolta. Divulgare e spiegare emozioni e pensieri è un lavoro impegnativo, ti porta a dare molto di ciò che hai e si ha spesso bisogno di ricaricarsi per avere fonti nuove da cui sgorgano le idee. Qual è il tuo modo per dare nuova polpa alla tua sostanza? 

Ho deciso di intraprendere un progetto solista perché sentivo che c’era qualcosa che stava cambiando in me. Più o meno con l’inizio di queste sensazioni ho deciso di intraprendere un periodo d’analisi, che indubbiamente ha influenzato e preso per mano il cambiamento che già sentivo necessario e mi ha aiutato a scavare dentro di me. Qualcosa che “l’abisso” descrive molto, anche al di là delle metafore. Sentivo che non avevo fatto altro fino a questo punto di nascondere la mia vera essenza, i miei pro e contro, i miei mostri e le mie cose belle. Sono diventato più coraggioso grazie all’analisi. Coraggioso a 360°, sia come essere umano che dal punto di vista musicale. Anche se ho sempre sperimentato, anche all’interno del pop-rock e nessuno mi ha mai messo delle barriere, avevo bisogno di schermi e protezioni, dei compagni della band, di decisioni artistiche atte a proteggermi. Stavolta però mi sono guardato dentro, ho aperto la cantina dei mostri e ho deciso di fare un disco dogmatico: con molte regole, ma senza compromessi. Un disco libero come non avevo mai fatto. Per rispondere alla tua domanda: io mi ricarico fermandomi, guardandomi dentro. Pratico una “meditazione artigianale”, ossia mi metto in uno stato di vuoto di pensiero. Mi aiuta molto sia tuffarmi nel vortice dei pensieri, sia svuotarmene completamente. Sono entrambe cose che mi danno energia. 

Allen Ginsberg definiva la poesia come “una profezia che si svela nel tempo”. Lì per lì esce come un flusso e può anche non dirci un granché, ma se è vera e senza fronzoli, ci svelerà col tempo chi eravamo. Nelle tue opere sembra che ci sia un costante lavoro di messa a nudo, di ricerca di essenza. Pensi di esserci riuscito? Quale dei tuoi ultimi lavori ritiene più vicino alla tua verità? 

Sinceri non lo si è mai. Nel momento in cui metti in forma un sentimento, stai fabbricando bottiglie nelle quali rinchiudere le emozioni. Non bisognerebbe mai tradurre nulla delle proprie emozioni direttamente in linguaggio. Nel momento stesso in cui codifichi e trasformi le emozioni in una forma linguistica, stai già creando un’astrazione, un passaggio in più rispetto alla verità. Comunque, per essere meno assoluto, io trovo che l’ultimo disco sia davvero sincero. Ovvio, ci sono anche lì degli artifici retorici, dei codici, però, più che in altri casi, utilizzo volentieri il termine “sincero”. C’è più corrispondenza tra l’espressione e l’emozione che stava a monte. 

Altra costante dell’album sembra essere l’internazionalità. Hai definito il genere del tuo album come “folk internazionale” e lo hai arricchito con numerose collaborazioni provenienti da tutto il mondo (Amedeo Pace, Kazu Makino, Rufus Wainwright, Hindi Zahra e Eleanor Fridberger). Cos’è secondo te che rende un’opera d’arte “universale” e non legata al suo tempo o alla sua nazione? 

Molto semplicemente io credo al Folk Universale. Credo che quando ci liberiamo dai complessi, dalle ossessioni di nazionalità, ci rendiamo conto che il vero campo di battaglia è il mondo. Questo disco l’ho pensato così. In Italia ci sono e ci sono sempre stati tanti talenti, ma ci siamo sempre azzuffati, come scimmie che si avventano su un mucchietto di noccioline e che sono disposte a qualunque cosa pur di raggiungerlo. Il mercato italiano è molto limitato e spesso gli artisti sono costretti a piegarsi alle sue regole. Se in Italia va di moda la disco music, tutti a fare disco music, se va di moda la trap, tutti a fare trap. Questo fa bene alle tasche di qualcuno, che riesce a muoversi rispettando questi schemi, ma fa male a lungo andare alla musica che non produce più nuove tecniche per nutrirsi Bisognerebbe sempre pensare in maniera universale. Si può fare. Paolo Conte è un signore di Asti che è conosciuto nel mondo e lo è anche grazie alle sue peculiarità italiane. Non c’è bisogno di scimmiottare i modelli esteri. 

È in uscita “l’atlante delle case maledette” che è un una mappatura dei luoghi abitati, rappresentati come parte di noi stessi e come nostri custodi. Che influenza pensi che abbiano i luoghi che abitiamo su chi realmente siamo? 

Io credo che esista una forte influenza dei luoghi sugli esseri umani e viceversa. Le case sono nate con una funzione ben precisa di riparo, per rispondere ad esigenze di sopravvivenza. Nel corso della storia però, le case sono state caricate anche di altre funzioni e così succede che quando io abito una casa, la carico di funzioni e valori che vanno al di là della sopravvivenza, la permeano e lei rimanda indietro. La casa mantiene delle tracce di chi le abita, dei fantasmi viventi. In questo momento, tra l’altro, sto cercando casa e ogni volta che ne vedo una nuova, scopro dei dettagli, oggetti, quadri e me ne arrivano i messaggi. Il mio cervello mette in moto una narrazione per la quale quella casa ha un’influenza diretta sulla mia psiche. Da questo punto di vista, i fantasmi esistono e le case ne sono piene. 

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