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Sound tuareg + folk country: i “nuovi” Tinariwen fanno tappa in Italia

di Luca Testoni

Il deserto è la loro vita. La loro essenza. La loro identità. Non c’è da sorprendersi se Ibrahim Ag Alhabib e compagni hanno scelto di chiamarsi Tinariwen, “deserti” nella lingua dei Tamashek, la popolazione semi-nomade berbera del Sahara che vive nel nord-est del Mali. Né tantomeno se il Festival du Désert, che fino a qualche anno fa si svolgeva ai primi di gennaio tra le dune dell’oasi maliana di Essakane, è stato il palcoscenico che li ha imposti a livello internazionale all’inizio del nuovo secolo.

In realtà, la storia dei Tinariwen viene da lontano e ruota attorno alla figura ribelle e carismatica di Ibrahim Ag Alhabib. È lui l’anima del gruppo. Il “guerrigliero del deserto” costretto all’esilio sin da bambino, da quando suo padre fu ucciso dai soldati del Mali ai tempi della prima rivolta berbera, nei primi anni Sessanta, perché sospettato di fornire munizioni ai ribelli. 

Inutile sottolineare che per Ibrahim la “gioventù errante” tra Algeria e Libia non sia stata facile. Lo stesso discorso vale per la maggior parte dei Tamashek (berberi o tuareg dir si voglia…) suoi coetanei, una sorta di “Generazione X” obbligata a una vita da esuli e di stenti, complice l’instabilità politica e l’assedio della modernità che ha sfilacciato, forse irrimediabilmente, i legami sociali e ha finito per disgregare quel popolo che crede da sempre che il deserto è stato creato da Dio per trovare la propria anima.

Tra i pochi motivi di conforto per Ibrahim c’è sempre stata la musica, la sua grande passione: le melodie tradizionali degli “uomini liberi del deserto” e il blues di Ali Farka Touré; il raï ascoltato nelle taverne algerine di Orano e il chaabi marocchino, ma anche il rock con le chitarre elettriche e il pop occidentale. Tutta musica poi confluita nel sound dei Tinariwen, ben presto trasformati nei “soldati-musicisti” del Movimento popolare dell’Azawad, che perorava la lotta contro il governo del Mali per l’emancipazione delle regioni del Sahara. 

Ormai l’etno-rock’n’roll del collettivo Tamashek è diventato a suo modo un classico. Amato e apprezzato da star del pop-rock come l’ex Led Zeppelin Robert Plant, il Blur Damon Alnbarn, Thom Yorke dei Radiohead e, buon ultimo, il grande produttore Daniel Lanois (con Brian Eno fu dietro la consolle nei grandi classici dei primi U2). C’è proprio Lanois in cabina di regia nel nono album di inediti, “Amatssou” (traducendo: “Oltre la paura”), uscito il 19 maggio scorso. Per questo lavoro, che sarà presentato con un tour italiano che toccherà il 14 giugno Firenze (Ultravox), il 15 Milano (Giardini della Triennale) e il 16 Torino (Hiroshima Mon Amour), i Tinariwen hanno unito forze, strumenti, idee e musica con alcuni musicisti che portano avanti la tradizione folk-country statunitense come Fats Kaplin e Wes Corbett. Difficile resistere al mix di chitarre serpeggianti, groove ipnotici, banjo e pedal steel. L’effetto sorpresa è assicurato. E assolutamente godibile.

 

Info & Tickets: https://ponderosa.it/artist/tinariwen/

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