Chiedi chi erano i Jesus and Mary Chain
08.12.2021, di Luca Testoni
Campione del rock alternativo anni Ottanta, il gruppo dei fratelli Jim e William Reid suonerà il loro secondo album, “Darklands”, all’Alcatraz di. Milano il 12 dicembre
Sì, ci hanno preso gusto. Dopo aver suonato in concerto dalla prima all’ultima nota “Psychocandy”, nel trentennale dell’uscita dell’album-manifesto, un esordio (datato 1985) fatto di melodie orecchiabili immerse in un mare magnum di feedback di chitarre elettriche e di atmosfere simil-psichedeliche che destò tanto scalpore all’epoca, i Jesus and Mary Chain fanno in bis.
Meglio, la band dei fratelli di Glasgow Jim (canto) e William (chitarre) Reid ha deciso di riproporre integralmente anche “Darklands”, il secondo capitolo della loro discografia, uscito nel 1987.
Sarà l’Alactraz di Milano ad ospitare, il 12 dicembre, l’unica data italiana.
Come fu sempre Milano, in quel caso (l’ormai chiuso) Rolling Stone, l’unica città del Belpaese prescelta per la prima, discussa apparizione dell’allora quartetto (dove c’era spazio anche per il leader dei Primal Scream Bobbie Gilllespie ai tamburi) scoperto dalla benemerita etichetta discografica Creation. Discussa perché i 20 minuti scarsi di rumore-pop di quel concerto lasciarono non poco interdetti i giovani accorsi in massa per vedere in azione l’ultima grande novità della musica britannica dell’epoca, da cui avrebbe preso le mosse il movimento “shoegazer” di My Bloody Valentine e compagnia cantante, il più importante Oltremanica dopo il punk-rock di Sex Pistols e Clash. Per fortuna, però, dopo l’esecuzione-sprint di “Just Like Honey”, “Never Understand” et similia non ci fu nessuna rissa, nessun palco devastato, come era invece successo nel Regno Unito.
“Darklands” fu per i fratelli scozzesi, cresciuti ascoltando dosi massicce di Velvet Underground e Stooges, un modo per prendere le distanze dal sovversivo “Psychocandy”. Anziché reiterare le chitarre elettriche distorte e cacofonie assortite degli esordi, cercarono – parole loro – una sorte di quiete. La quiete dopo la tempesta, dunque. Tra riverberi e melodie sospese, chiaroscuri e malinconie in salsa decadente. Un gioiellino del rock Anni Ottanta, trainato dai singoli (tra i loro pezzi meglio riusciti) “April Skies” e “Happy When It Rains”.
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